Il TAR del Lazio con una ordinanza dello scorso 17 maggio ha sollevato una questione di legittimità delle norme che attualmente dilazionano il pagamento del Trattamento di Fine Servizio dei pubblici dipendenti rispetto alla tempistica prevista per il privato, che invece percepisce il Trattamento di Fine Rapporto già al momento del collocamento in pensione. La rateazione strutturale comprime in modo irragionevole e spropositato i diritti dei lavoratori pubblici, come da tempo sostenuto da FLP, in assenza di motivi contingenti.

Notiziario FLP Difesa n. 35 del 3 giugno 2022 –

Riportiamo di seguito il Notiziario CSE-FLP Pensionati n. 9 del 31 maggio u.s., relativo alla recente ordinanza del TAR Lazio che solleva il dubbio di legittimità sulle norme che attualmente dilazionano in modo “irragionevole e sproporzionato” la tempistica di erogazione del TFS dei lavoratori pubblici.

La ingiusta disparità nei trattamenti di fine rapporto (c.d. “liquidazione”) tra lavoratori pubblici e privati rappresenta una delle questioni che CSE ed FLP hanno sollevato da tempo in diverse sedi.

Come noto, a differenza del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) che i lavoratori privati percepiscono in tutto il suo maturato economico al momento del collocamento in pensione, il TFS (Trattamento di fine Servizio), destinato specificatamente ai lavoratori pubblici e che ricomprende diversi tipi di liquidazione (Indennità di Buonuscita (IBU), destinata ai dipendenti dello Stato, cioè dei Ministeri, delle Agenzie Fiscali, della Scuola, dell’AFAM e dell’Università; Indennità Premio di Servizio (IPS) per dipendenti degli Enti Locali, delle Regioni e del Servizio Sanitario Nazionale;  Indennità di Anzianità (IA) per i dipendenti degli Enti Pubblici non Economici e Camere di Commercio) viene invece erogato in tempi molto più lunghi che in base all’art. 3  L. 28.03.1997, n. 79, differiscono tra loro in ragione della causa di cessazione del rapporto di lavoro:

 entro 105 giorni,in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso;

  • dopo 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, nell’ipotesi in cui questa sia avvenuta per raggiungimento del limite di età oppure per risoluzione unilaterale del datore di lavoro a seguito del raggiungimento dei requisiti della pensione anticipata;
  • dopo 24 mesi dalla cessazione in tutti gli altri casi (dimissioni volontarie con o senza diritto a pensione, licenziamento/destituzione, ecc.).

In aggiunta, i tempi di liquidazione del TFS sono diversi in relazione alla somma maturata da erogare:

  • un’unica soluzione, se l’importo è pari o inferiore a 50mila euro;
  • due rate annuali, se l’importo è compreso tra 50mila euro e inferiore 100mila euro, la prima pari a 50.000 euro e la seconda pari all’importo residuo; 
  • tre rate annuali, se l’importo è pari o superiore a 100mila euro,

 con possibilità da parte dei lavoratori pubblici di poter accedere, in base al DL n. 4/2019 convertito nella  Legge n.26/2019, all’anticipo finanziario del TFS, presso un Istituto di credito o intermediario finanziario che aderisce all’Accordo quadro sottoscritto dai Ministri PA, MEF e Lavoro e l’ ABI (Associazione bancaria Italiana) e poi recepito con DM 19 08.2020, ma solo nei limiti dell’importo netto di 45mila euro.

     Dunque, una palese, ingiusta ed incomprensibile disparità di trattamento dei lavoratori pubblici nei confronti di quelli del settore privato, che peraltro fa il paio con altre disparità esistenti nel raffronto TFR/TFS, come la possibilità per i privati di richiedere fino al 70% del TFR maturato per spese sanitarie, acquisto prima casa e spese in congedo, possibilità questa negata allo stato ai lavoratori pubblici.

     Rispetto a questo quadro di situazione, interviene ora una interessantissima ordinanza del TAR Lazio, la n. 6223 pubblicata in data 17 maggio u.s. e che alleghiamo ad ogni buon conto al presente Notiziario, che apre uno scenario significativamente nuovo e alimenta prospettive che appaiono incoraggianti.

     L’ordinanza del TAR Lazio è stata pronunciata a fronte di un ricorso proposto da un Dirigente della Polizia di Stato in pensione, che ha chiesto di vedersi riconosciuto il diritto a percepire il TFS senza dilazioni e senza rateizzazioni, e la condanna del Ministero degli Interni al risarcimento del danno da ritardato pagamento.  Con detta ordinanza, il TAR Lazio ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità della dilazione nel pagamento del TFS ritenendo che “la previsione di un pagamento rateale comprima in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., non essendo sorretta dal carattere contingente, ma al contrario avendo carattere strutturale”.

     Il dubbio di compatibilità al dettato costituzionale è stato alimentato dall’esame della stessa giurisprudenza costituzionale che, nel 2019, ritenendo infondate le eccezioni di illegittimità costituzionale circa le norme che consentono la corresponsione posticipata del TFS nel pubblico impiego, aveva anche lanciato una sollecitazione al legislatore, il quale, a dire della Corte, “non può esimersi … (dal) ridefinire una disciplina non priva di aspetti problematici, nell’àmbito di una organica revisione dell’intera materia, peraltro indicata come indifferibile nel recente dibattito parlamentare”.

     Il punto, nodale, della questione, nuovamente rimessa alla Corte, è che la disciplina normativa ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro smarrendo “un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata” (Corte Cost, sentenza n. 159/2019). Mentre, come noto, l’art. 36 Cost. statuisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare e a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. Retribuzione che, prosegue il TAR Lazio, non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e deve essere, oltre che adeguata, anche tempestiva, in  quanto ““è infatti evidente che una retribuzione corrisposta con ampio ritardo ha per il lavoratore una utilità inferiore a quella corrisposta tempestivamente”;  

     Nel nostro ordinamento sono sicuramente ammesse alcune deroghe all’applicazione meccanica dei principi costituzionali, tra cui quello dell’art. 36 Cost., ma solo a fronte di una situazione di crisi contingente e comunque entro un termine temporale certo.  Termine che, per quanto attiene l’erogazione del TFS, è stato invece ulteriormente aggravato, da ultimo con la legge di stabilità del 2014, , mentre “la Corte ha più volte affermato il principio per il quale una misura quale quella in esame, per superare lo scrutinio di costituzionalità, non può riguardare un arco temporale indefinito.. e deve atteggiarsi quale misura una tantum (sentt. n. 178 del 2015 e n. 173 del 2016)”.

    Conseguentemente, il T.A.R. Lazio ha sospeso il giudizio e “disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulla rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del d.l. 79/1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, per contrasto con l’art. 36 Cost..”

     Il che apre oggettivamente orizzonti nuovi e alimenta la fondata speranza che, in materia di trattamenti di fine rapporto, le norme tra pubblico e privato siano finalmente tra loro allineate, e che anche i lavoratori pubblici possano percepire tutto il TFS maturato al momento del collocamento in pensione.

Fraterni saluti

 IL COORDINAMENTO NAZIONALE FLP DIFESA

Allegato: 17.05.2022 Ordinanza TAR Lazio n. 6223-2022