NOTIZIARIO FLP DIFESA N. 2 DEL 9 GENNAIO 2012
La Difesa ha conquistato, in questi ultimi giorni, spazi importanti in quasi tutti i mezzi di informazione del nostro Paese, e, parallelamente, sta crescendo l’attenzione della pubblica opinione per una vicenda che tocca direttamente il nostro Ministero. Ci riferiamo alla spinosissima questione legata all’acquisto degli aerei militari “Joint Strike Fighter F-35”. Vediamo di cosa si tratta.
Il programma militare F-35 riguarda l’acquisto di caccia bombardieri d’attacco, è capeggiato dagli USA e interessa altri 8 Stati, tra cui l’Italia (la sede di produzione italiana è a Cameri) che vi prende parte avendo siglato nel 2007 il relativo protocollo (“Memorandum of Understanding”). Il nostro Paese dovrebbe acquistare i primi quattro aerei nel 2012, gli altri entro il 2023, con una spesa totale prevista di circa 13 mld. di €, già messa a bilancio dal Governo Berlusconi. Va però detto che autorevoli stime recenti (Ministero della Difesa USA) valutano ulteriori incrementi di costo che porterebbero la spesa complessiva dell’Italia oltre i 15 miliardi di €. Quanto una finanziaria!
Ora, non c’è dubbio che, al di là degli aspetti tecnici e militari sui quali non possiamo e non vogliamo in alcun modo pronunciarci per totale incompetenza, la vicenda legata all’acquisto degli F-35 non può essere certo slegata dal contesto della gravissima crisi economica che il nostro Paese sta vivendo in questi anni e, ancor più accentuatamente, in queste ultimi mesi. La domanda che in molti si fanno, e noi sicuramente siamo tra questi, è la seguente: nel momento in cui il Paese vive questa difficilissima situazione economica; nel momento in cui molte aziende italiane sono costrette a chiudere e le fila dei disoccupati si ingrossano paurosamente; nel momento in cui cresce in modo preoccupante la precarietà e l’insicurezza delle nuove generazioni e in cui l’economia è oramai in piena recessione e con prospettive fortemente negative per l’anno in corso; nel momento in cui si chiedono ai cittadini sempre maggiori sacrifici (più imposte, più tasse, meno salari, meno pensioni, etc.) e in cui a noi stessi, dipendenti pubblici, vengono bloccate le retribuzioni in aggiunta a tante altre misure penalizzanti, nel momento in cui tutto questo avviene, ha davvero senso spendere quelle cifre per l’acquisto di costosissimi aerei militari?
No, non ha molto senso, per la verità, come detto ripetutamente anche dalla FLP, e forse anche per questo sta montando nel Paese una crescente e critica attenzione verso questa vicenda, che oramai occupa stabilmente le cronache dei media. La richiesta forte che sta venendo dal Paese è molto semplice: si rinunci all’acquisto degli F-35, e si destinino verso impegni più “sociali” le risorse così risparmiate.
Proprio a partire da queste premesse, alcuni Paesi hanno già fatto un passo indietro sull’acquisto degli F-35 (Norvegia, Canada, Australia e Turchia). L’Italia ancora no, pur essendo il Paese che per ragioni legate alla propria condizione economica, ne avrebbe avuto forse i maggiori motivi. Il Ministro Di Paola pare non sia per nulla d’accordo: per esigenze di carattere militare, certo, ma anche perché l’eventuale disimpegno graverebbe sul piano economico in quanto il nostro Paese sarebbe chiamato a pagare una penale, di importo addirittura superiore al costo dei velivoli. Ma una recente inchiesta del mensile Altreconomia sembrerebbe smentire il Ministro: dall’analisi del “Memorandum of Understanding”, emergerebbe che qualsiasi Stato partecipante possa ritirarsi dall’accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificare agli altri Stati. Non v’è alcun accenno a multe, e Altreconomia stima che per l’Italia la spesa massima totale del ritiro al programma militare potrebbe ammontare a 904 milioni, molti di meno, quindi, della spesa prevista per mantenere fede all’impegno iniziale.
Se le cose stanno davvero in questi termini, il Parlamento è chiamato a dire l’ultima parola.