Notiziario FLP Difesa n. 17 del 08 marzo 2024 –
Torna puntuale la Festa della donna, una festa che col cambiare delle stagioni mantiene la sua valenza sulle tematichedi genere, come ha dimostrato quest’anno l’enorme successo di critica e di pubblico ottenuto dal film “C’è ancora domani”, che racconta una donna degli anni ’40, che ha vissuto il primo dopoguerra, il primo voto alle donne (80 anni fa), un odioso rapporto col marito violento che ha fatto piangere le sale di tutta Italia per la verosimiglianza di quella storia con un passato non troppo lontano e riscoperto nella memoria collettiva. Per quel film Paola Cortellesi si è aggiudicata il premio Afrodite, che celebra il talento femminile nella cultura e nello spettacolo, insieme a Carolina Crescentini, premiata a sua volta per il film “Unfitting”, che denuncia con ironia il fenomeno del “body shaming” (la violenza psicologica esercitata sulle donne che in sede di selezione vengono valutate per l’aspetto fisico e/o l’età, anziché per il loro talento).
Un tema attualissimo quello della violenza di genere al giorno d’oggi: è stato notevole il clamore mediatico destato dal femminicidio di Giulia Cecchettin, una giovane studentessa veneta che stava per laurearsi in ingegneria, uccisa dall’ex fidanzato che non voleva saperne di lasciarla andare e che l’ha ritenuta una sua proprietà, senza accettare il fatto che la gelosia non è un segno d’amore. Il problema è che il 30% degli adolescenti recentemente intervistati da Save the Children pensa che la gelosia sia un segno d’amore, non rendendosi conto di togliere significato e valore a sé stesso, che il possesso è un tentativo di compensare la mancanza di autostima, e che le relazioni dovrebbero essere il frutto di una scelta e non di un bisogno. E drammatico è che nello stesso rapporto di Save the Children sia emerso anche che un adolescente su 5 ritiene normale che in una relazione ogni tanto scappi uno schiaffo, una spinta, alimentando così quel maledetto circolo vizioso.
Da dieci anni si rinnova la mostra “Com’eri vestita” con la campagna sulla violenza di genere “Io lo chiedo,-il sesso senza consenso è stupro” . “Com’eri vestita” è la domanda che viene regolarmente posta alle presunte vittime, senza evidentemente chiedersi se potrebbe mai bastare cambiare i vestiti per porre fine agli stupri… La mostra è arrivata in Italia grazie ad Amnesty International, e dimostra come non sia l’abito che si indossa la causa di una violenza sessuale, ma è una persona la causa del danno. E il non riuscire a sottrarsi all’abuso si presta, agli occhi di ascolta, a non escludere che la vittima possa in realtà essere complice. La domanda “Com’eri vestita” è sbagliata e violenta anch’essa; invece di chiedere alla vittima perché si sia lasciata violentare, bisognerebbe semplicemente chiedere perché le sia stata usata violenza, e chi ne sia responsabile.
Camminando fra quei vestiti è capitato che le visitatrici si siano sentite fortunate per aver indossato indumenti simili a quelli esposti, ed essersela cavata con molestie di rango inferiore, come una carezza (foriera di altre intimità), una pacca sul sedere, l’invito a cena con sottinteso dopo cena (nella convinzione che quell’abito presupponesse una facilità all’arrendevolezza). Invece quegli abiti parlano delle donne che li portavano al momento dello stupro: vicino ad un abito corto, rosso, le parole della ragazza: ”volevo solo passare una bella serata e divertirmi insieme a mia sorella. Invece mi ha stuprata non so quante volte”.
Cogliamo dunque ancora una volta l’occasione per una riflessione sugli spunti offerti da questa giornata, che non sono evidentemente superati.
Auguroni a tutte le colleghe!!!
LA COORDINATRICE GENERALE – Maria Pia BISOGNI